La scelta di Aldo, custode capo

Decise di non girarsi dall’altra parte, il custode capo della Villa Medicea di Poggio a Caiano. Erano gli anni della seconda guerra mondiale e dentro la villa voluta da Lorenzo il Magnifico erano stipate centinaia di opere d’arte, dal valore incalcolabile, portate lì dai musei. Da Firenze e non solo.

E così lui, Aldo De Luca, figlio di custode capo, si trovò a essere responsabile di un patrimonio (Caravaggio, Michelangelo, Piero della Francesca, Donatello, Botticelli, Perugino, Pontormo…) che dal giugno 1940 era stato portato al Poggio, in certi casi anche senza imballaggio, e poi in parte trasportato altrove.

Ma lì, nella villa simbolo del Rinascimento, ne erano rimasti comunque tanti di capolavori che a un certo punto, all’avvicinarsi del fronte, si erano trovati in stretta coabitazione con altri tipi di capolavori: le persone in carne e ossa, gli abitanti della piccola Poggio a Caiano, che pensavano logico trovare sicurezza proprio al riparo di quelle antiche mura.

E così la bellezza dell’arte si trovò a doversi confrontare con la paura, e la speranza, di centinaia di esseri umani in attesa che la guerra passasse altrove. La coesistenza tra bellezza e paura è raccontata in un diario tenuto dalle Minime del Sacro Cuore, religiose francescane con casa madre davanti alla Villa.

Si arriva all’agosto 1944. I nazisti in fuga pretendono di portar via quei capolavori. 58 le casse che, in due date diverse, caricano sui loro mezzi. Ed è qui che il trentacinquenne Aldo De Luca, capo custode della Villa, sceglie di fare il suo dovere: prepara una ricevuta delle opere d’arte, che lui aveva in custodia e di cui lui avvertiva la responsabilità. E si fa firmare una ricevuta da chi quei beni stava sottraendo (ovviamente con la scusa di salvarli dalle bombe “nemiche”).

Gesto piccolo, minimo (che però avrà una sua utilità quando quelle casse verranno ritrovate, al confine con l’Austria, e quell’elenco servirà per agevolare la conta dei capolavori da far rientrare a Firenze).

Avrebbe potuto tranquillamente fregarsene, il custode capo, farsi i fatti propri. Nessuno avrebbe potuto criticarlo. Ma scelse di fare la cosa giusta. Seppe tenere dritta la schiena in giorni nei quali farlo non era facile. Un gesto, in giorni difficili, non di eroismo straordinario ma di ordinaria responsabilità.

La vicenda è raccontata in un fascicolo (“Siamo in guerra, non c’è niente da fare. Aldo De Luca, il custode della Villa di Poggio a Caiano”) curato da Andrea Lottini. Anche attraverso scambi epistolari fra il custode e il Soprintendente fiorentino Giovanni Poggi, il fascicolo – voluto lo scorso anno, in occasione dell’80mo, dall’associazione poggese “Diapason” – è introdotto da una riflessione, purtroppo attuale, sulla tutela dei capolavori in tempi di guerra.

L’attacco ai beni culturali – scrive Giulia Ballerini, storica dell’arte, riferendosi alle razzie naziste ma allargando il concetto anche a conflitti bellici successivi –  equivale al tentativo di annichilire l’identità e la memoria storica del nemico. Hitler sapeva benissimo che sottraendo le opere più famose e rappresentative dei musei italiani, avrebbe minato lo spirito stesso degli italiani che in quelle opere si identificano e di cui sono gli eredi, aggiungendo alla distruzione materiale quella morale”.

Mauro Banchini

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