Intervista a Fulvia Alidori, curatrice del progetto «Memorie di Resistenza fiorentina»
Come si racconta la Resistenza ai ragazzi? La scrittrice Fulvia Alidori ne sa qualcosa, avendo scritto favole sulla lotta al fascismo, e libri per bambini sulla Shoah. Anche con il progetto «Memorie di Resistenza fiorentina», Alidori prende per mano gli adolescenti e li accompagna in un viaggio a ritroso nel tempo.
«Memorie di Resistenza fiorentina» è un progetto delle 11 Biblioteche comunali di Firenze, con la collaborazione dell’ISRT. È un esempio di public history, dove la partecipazione di semplici cittadini e studenti fuori dagli ambienti accademici, ha permesso di creare un patrimonio di memoria storica collettiva. È un sito web (consultabile qui) che raccoglie storie note o poco note di persone che hanno contribuito alla Resistenza della città: sono 33 biografie di partigiane e partigiani, internati militari e ebrei, operaie e operai negli scioperi del ’44, vittime dei bombardamenti, di esecuzioni, di torture. Le storie sono raccontate attraverso documenti, video, audio, fotografie, donate dalle stesse famiglie dei protagonisti.
In alcuni casi il materiale proviene dagli archivi dell’ISRT. È materia davvero molto viva, c’è anche una playlist. In particolare, i video dove i testimoni – figli, nipoti – ricordano i protagonisti, sono molto toccanti. Il progetto ha trovato la sua naturale collocazione nelle 11 biblioteche comunali, grazie a dei totem digitali che consentono di navigare nel sito, e che sono collocati in uno spazio dedicato a tutto il materiale bibliografico conservato dalla biblioteca sulla Resistenza fiorentina. A ogni biblioteca è associata una parola guida che permette di navigare nel sito per temi.
Fulvia Alidori, lei è curatrice del progetto Memorie di Resistenza fiorentina, e ha scritto i testi storici. Perché ha scelto questo tipo di approccio “dal basso”?
«L’idea era di ribaltare la prospettiva. Cioè, rivolgersi non solo a chi è già interessato alla Resistenza, ma anche a chi non lo è o non ne ha conoscenza. Lo definisco un progetto crossmediale, che usa più di un media per interessare le persone, anche sfruttando la scoperta per caso. In biblioteconomia si usa il concetto di serendipity: inciampare per caso nei libri che forse t’interessano di più di quelli che cercavi. In questo modo la Storia si arricchisce di nuove sfumature. È meno didascalica, meno lontana dalle persone».
La partecipazione dei protagonisti, parenti o testimoni, è stata un’altra scelta determinante.
«II concetto della prossimità mi stava particolarmente a cuore, perché rende un determinato argomento vicino alle persone e alle famiglie».
Nei mesi scorsi il progetto ha avuto uno sviluppo molto interessante in alcune scuole medie e superiori.
«Gli studenti hanno lavorato a gruppi scegliendo un tema legato alla Resistenza. Hanno ragionato su questo tema, hanno lavorato sul sito del progetto e hanno preso ispirazione dal suo format, per cercare una storia familiare o a loro vicina sul territorio. Hanno quindi raccolto foto, audio, documenti inediti, hanno avuto libertà di scegliere il mezzo espressivo che gli piaceva di più. Questo lavoro è stato molto importante perché ha significato scoprire delle microstorie che magari non erano note, e quindi la ricerca ha anche avuto un valore storico…».
A 80 anni dalla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, si sta perdendo il legame anagrafico con la Resistenza. Questo progetto è un modo per salvarlo?
«I ragazzi adesso ci raccontano le storie dei loro bisnonni e bisnonne, che però non ci sono più. Le testimonianze le ricevono indirettamente dai nonni, che a loro volta ricordano le storie dei loro stessi genitori. Nelle classi, dico sempre ai ragazzi che non si tramandano solo i tratti somatici ma anche le attitudini e i talenti, che magari non sanno di avere. Ma conoscendo la storia della tua famiglia conosci un po’ meglio anche te stesso. È una sorta di educazione sentimentale. Capisci un po’ anche come stare al mondo».
O anche che scelte fare…
«Anche, sì. Quando vado nelle scuole non vado per dire “pensatela così”, ma offro uno strumento che dice: in quel periodo, in quel contesto, molte persone si sono salvate facendo questo tipo di scelta. Voi ragionate con questo strumento e magari, aggiungo sempre, state attenti e vigili ai segnali che potrebbero essere simili a quei contesti».
Ci sono degli episodi che l’hanno colpita?
«Mi ha colpito la passione che i ragazzi ci hanno messo. Quando hanno esposto la storia della propria famiglia davanti ai compagni e agli insegnanti, si notava una grande emozione. Direi che i ragazzi che ho incontrato si sono messi nei panni dei giovani di allora con affetto e con rispetto. E si sono emozionati nell’andare alla ricerca delle storie dei loro bisnonni, rendendosi contro che i loro bisnonni hanno contato un po’, hanno avuto un ruolo, e che ogni azione ha un suo valore».
Mi sembra che abbia risvegliato in loro una specie di orgoglio…
«Chi fa public history deve avere un atteggiamento di dialogo, deve avere competenza e passione. Credo molto in questo tipo di formazione perché secondo me i ragazzi soffrono un po’ per la mancanza di speranza. Invece secondo me gli va data, attraverso tanti canali e tanti strumenti, perché la Storia è bella, e se poi vedi i volti dei tuoi bisnonni… Molti non sapevano neanche di avere delle loro fotografie!».
Passione. Speranza. E poi, cos’altro occorre per far interessare i ragazzi alla storia della Resistenza, che per loro appartiene veramente al passato?
«Il senso della partecipazione, del contributo che ciascuno di noi può dare. Perché la Memoria è come un mosaico: tutto si tiene se le cose si incastrano. Tutti i contributi sono importanti, nessuno escluso».
Ci sono state delle reazioni negative da parte di qualche famiglia, magari contraria a questo tipo di narrazione della Resistenza?
«Sinceramente no. C’è stato invece un episodio che reputo molto importante. In una terza media è venuta fuori la storia di un ragazzino pronipote di soldati dell’esercito tedesco. Al secondo incontro l’ha tirata fuori. Il suo lavoro è stato: io ero dalla parte dei cattivi. Coraggiosissimo. Ha fatto una riflessione sul passato della propria famiglia perché si è sentito accolto e tutelato. Non solo. Ha suscitato anche, tra i compagni, una riflessione sul fatto che è più semplice essere dalla parte dei buoni che non dei cattivi».
Sarà possibile vedere i lavori degli studenti?
«Alcuni lavori potranno essere visti nella sezione didattica, ora in costruzione, del sito delle Memorie».
Manuela Zadro