Intervista alla storica dell’arte Alessia Cecconi a ottant’anni della riconsegna a Firenze delle opere d’arte trafugate dai nazisti
Il 22 luglio 1945 in piazza della Signoria c’è una vera e propria festa di popolo di alto valore simbolico: vengono restituite a Firenze le preziosissime opere d’arte che erano state razziate dai nazisti in varie località della Toscana. È l’emozionante conclusione di una vicenda complessa che rappresenta emblematicamente il capitolo conclusivo dello straordinario impegno per la salvezza del patrimonio artistico toscano. A raccontare questa storia avvincente, per la passione e il coraggio dei suoi protagonisti, è la storica dell’arte Alessia Cecconi, direttrice della Fondazione CDSE, che ha coordinato il progetto regionale Resistere per l’arte, guerra e patrimonio artistico in Toscana ed è autrice di numerosi testi e ricerche, oltre che curatrice di mostre, su questa singolare pagina di storia legata al Secondo conflitto mondiale.
Torniamo al quel 22 luglio del 1945 e a quella giornata memorabile in cui la bellezza dell’arte diventa il simbolo della libertà ritrovata.
In Toscana, tra la fine di giugno e l’inizio di luglio 1944, dalla villa di Montagnana a Montespertoli furono sottratte centinaia di opere della Galleria Palatina e degli Uffizi. A fine agosto fu la volta della villa di Poggio a Caiano. Negli stessi giorni furono ‘alleggeriti’ anche i depositi casentinesi: il 20 agosto 1944 la villa Bocci a Soci, tra il 22 e il 23 agosto il castello di Poppi. Per il recupero delle opere seguirono mesi di grandi trattative e missioni diplomatiche, che coinvolsero su piste parallele e segrete Chiesa, soprintendenze, ministero, servizi segreti alleati. Finalmente i primi di maggio del 1945 si ebbe notizia del loro ritrovamento in Alto Adige. Nel vecchio palazzo della Pretura, a San Leonardo in Passiria, si trovavano i dipinti asportati da Montagnana; al castello di Neumelans a Campo Tures, a nord di Brunico, quelle di Poppi, Dicomano, Soci, Trefiano e Poggio a Caiano. Il 20 luglio 1945 da Bolzano partirono tredici vagoni con tutti i capolavori recuperati. La mattina del 22 luglio una colonna di sei autocarri alleati, diretta dal tenente Frederick Hartt, entrava in piazza della Signoria, attesa da oltre duemila fiorentini, sotto gli occhi del generale Edgar Hume e del sindaco Gaetano Pieraccini.
Ma cominciamo dall’inizio e cioè dall’azione per proteggere le opere d’arte in Toscana mettendole in salvo dalla violenza della guerra. Ci restano immagini incredibili di opere d’arte e monumenti messi sotto protezione, quando la situazione di pericolo diventa estrema le opere trasportabili vengono trasferite in luoghi più sicuri. Ci illustra la geografia di luoghi della salvezza?
La straordinaria concentrazione in Toscana di opere d’arte impose l’adozione di misure eccezionali. I soprintendenti e tutto il personale addetto già dal giugno del 1940 iniziarono le grandi manovre per proteggere il patrimonio artistico, sia le opere mobili all’interno dei musei che gli edifici dei centri storici. A Firenze già nel giugno del 1940 la Soprintendenza alle Gallerie riuscì a trasferire nella villa medicea di Poggio a Caiano il nucleo più prezioso degli Uffizi, mentre in tutto il 1940 arrivarono altri capolavori nel palazzo Pretorio di Scarperia, nel castello di Poppi e nel convento di Camaldoli. Altri luoghi individuati come depositi furono Villa Arceno nel senese e la certosa di Calci tra Lucca e Pisa. Nell’autunno del 1942 iniziò un nuovo piano di misure protettive: fu attuato uno sfollamento di tutte le opere dei musei, trasferite in decine di nuovi rifugi. Tra il novembre del 1942 e il gennaio del 1943 Firenze si svuotò completamente, e migliaia di opere d’arte furono disseminate in decine di ville private, dove rimasero fino a dopo il passaggio del fronte: il castello di Montegufoni, la villa del Barone a Montemurlo, o le già ricordate villa Bocci a Soci o Montagnana, per citarne alcune.
Chi sono i resistenti protagonisti di questo immane intervento che viene condotto a tappeto, in fasi diverse, e con quali modalità agiscono?
C’è un gruppo che agisce con efficienza e sincera dedizione ma anche con grande coraggio e generosa umanità. Prima di tutti Giovanni Poggi, soprintendente alle Gallerie di Firenze, che con sangue freddo cercherà di interagire già dalla fine del 1943 con i due reparti militari destinati alla protezione del patrimonio, uno alleato (la MFAA, Monuments, Fine Art and Archive Subcommission) e uno tedesco (Kunstschutz). Poi Ugo Procacci, allora responsabile del Gabinetto Restauri della soprintendenza, che rischierà più volte la vita sotto i bombardamenti (una bomba gli esplode a pochi metri mentre mette in salvo Polittico della Misericordia di Piero della Francesca). Tra i più coraggiosi c’è sicuramente Cesare Fasola, bibliotecario degli Uffizi e partigiano. Nel luglio 1944 si incamminò a piedi da Firenze al castello di Montegufoni in Val di Pesa, sul fronte di guerra, per proteggere dalla violenza delle truppe i tesori degli Uffizi qui ricoverati, mentre nel giugno 1944 aveva affrontato il maggiore Carità per impedire la razzia dei beni ebraici requisiti. Del gruppo fanno parte anche restauratori (come Leonetto Tintori a Prato) o custodi di rifugi (come Aldo De Luca a Poggio a Caiano o Guido Masti a Montegufoni).
L’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea conserva una fonte interessantissima, il diario di Cesare Fasola redatto nell’estate più difficile, quella del 1944. Quali sono le notizie più interessanti che si ricavano?
Il diario di Fasola, che abbiamo trascritto interamente nel volume Resistere per l’arte, è un documento eccezionale perché registra in presa diretta cosa accadde tra luglio e agosto 1944 nel deposito degli Uffizi di Montegufoni. Scritto sotto forma di lettere alla moglie Giusta Nicco, partigiana e storica dell’arte, narra il viaggio della speranza per arrivare a piedi al deposito, i suoi sforzi per proteggere opere come la Primavera del Botticelli dalle truppe tedesche, l’arrivo degli Alleati insieme a funzionari e uomini di cultura che non vedeva da anni, come Giorgio Castelfranco, Emilio Lavagnino e Giorgio Spini. Curioso anche il racconto dell’arrivo dei giornalisti della BBC e gli ufficiali della MFAA: i giornali americani si riempirono di articoli sul miracoloso “ritrovamento” della Primavera di Botticelli e il timido e coraggioso Fasola diventò nella stampa americana e nei report della Roberts Commission l’eroe italiano del momento.
Accanto a personaggi come Giovanni Poggi, Cesare Fasola, Giorgio Castelfranco e Rodolfo Siviero in Toscana opera il monument man per eccellenza, Frederick Hartt, ufficiale del programma Monuments, Fine Arts and Archives program dell’esercito americano, un innamorato dell’arte italiana e toscana. La sua è una vicenda da film, ci racconta qualche particolare?
Frederick Hartt, nato nel 1914 e morto nel 1991, è uno dei Monument Men più famosi in Italia. Studioso del Rinascimento e innamorato della Toscana, per sua volontà le sue ceneri furono seppellite nel cimitero fiorentino delle Porte Sante. Per la sua conoscenza dell’italiano e della storia dell’arte gli era stato affidato durante la campagna d’Italia l’incarico di ufficiale della MFAA, responsabile insieme a Deane Keller per la Toscana. Non solo durante tutte le fasi della guerra si adoperò per proteggere e recuperare le opere dei musei custodite nei depositi (fu uno dei primi ufficiali ad arrivare a Montegufoni e conoscere Fasola), ma si impegnò lungamente dopo la Liberazione per la ricostruzione, il ritrovamento delle opere in Alto Adige e il ricollocamento delle stesse nei musei, collaborando attivamente con funzionari come Ugo Procacci di cui diventerà molto amico. Florentine Art Under Fire, il suo libro di memorie sul salvataggio delle opere d’arte in Italia, edito nel 1949, è ancora oggi un documento fondamentale per ricostruire queste vicende e anche l’impegno dei funzionari italiani.
Caterina Fanfani