Più gli anni passano, più appare fondamentale sottolineare l’importanza di certe ricorrenze. Certo, si tratta di omaggi rilevanti e dovuti, ma essi, col trascorrere del tempo, sembrano capaci di toccare corde particolarmente profonde. Ricordare pagine positive della nostra recente storia è probabilmente un antidoto al presente in cui viviamo, un tempo faticoso che rende difficile guardare al futuro se non nei termini del progressivo dissolvimento della speranza in un mondo migliore e meno ingiusto. Scenari di guerra nei quali – come sempre – si continua a far strage di civili innocenti, un progressivo inasprimento nelle relazioni tra popoli, la tentazione di alzare muri e di difendere così, scavando un fossato tra il ‘noi’ e il ‘loro’, la propria, fragile, identità. Anche dove si vive in pace, i segni di un individualismo frastornato, pessimista, diffidente, che ha perso lo smalto delle origini (ammesso che lo abbia mai avuto) sono ormai diffusi.
Festeggiare il 2 giugno e, con esso, la nascita della Repubblica e l’inizio della democrazia, è forse uno dei modi che consente di ricordare che è possibile fondare diversamente l’idea di una identità condivisa. Il 2 giugno 1946 vengono eletti (finalmente col voto delle donne) anche i componenti dell’Assemblea costituente (tra i quali, 21 donne), e sono proprio i lavori di quell’assemblea che ci ricordano che un altro modo di pensare al futuro è possibile. Qualche mese fa, invitata in un liceo a parlare della Costituzione, uno studente mi chiese se la Costituzione fosse di destra o di sinistra. Un suo compagno, anticipando la mia risposta, disse: ‘la Costituzione è democratica’. Non avrebbe potuto replicare con maggior chiarezza. La Costituzione, parafrasando Aldo Moro, è una casa comune, che tutti siamo chiamati a rispettare e nella quale siamo tutti tenuti a riconoscerci. È solo a partire da qui, dal doveroso rispetto per quella casa comune, che può – e deve – prendere forma la dialettica tra differenti visioni politiche. Le donne e gli uomini che hanno scritto la Costituzione avevano idee diverse, spesso diversissime, in un momento storico nel quale le distanze ideali e ideologiche avevano una potenza identitaria che hanno in gran parte perso. Eppure, attraverso discussioni e confronti spesso serrati, hanno lavorato per trovare una sintesi, un punto di convergenza che permettesse di aprire una nuova stagione di storia italiana. Hanno immaginato un nuovo modo di concepire il soggetto, i corpi intermedi, il potere, non considerati come dimensioni autoreferenziali o autosufficienti, ma come parti di una relazione necessaria, di riconoscimento reciproco. Una costituzione che Calamandrei definì presbite, capace, cioè di guardare lontano: perché aveva nel futuro il suo terreno di realizzazione, ma anche perché rappresentava una risposta, costruttiva e ambiziosa, a un paese prostrato da una guerra devastante e da vent’anni di dittatura. Dunque, anche allora un presente faticoso, a partire dal quale, però, si decise di puntare su un’idea di democrazia che val la pena, anche oggi, difendere con convinzione.
Irene Stolzi