Tre tragedie operaie: un viaggio tra storie sepolte e riscattate
Un filo rosso lega le miniere e la libertà. Nel cuore della Toscana e della Sardegna, la miniera è stata, per decenni, il ventre oscuro dove si sono intrecciati sudore, sfruttamento e speranza. Tre tragedie, lontane nel tempo ma unite nella sostanza, segnano la storia del lavoro minerario in Italia: la strage di Niccioleta nel 1944, quella di Buggerru nel 1904 e la tragedia di Montevecchio del 1871 dove persero la vita undici donne. In mezzo, come custode e narratrice, la figura limpida e militante di Iride Peis Concas, che ho conosciuto nella sua casa di Guspini, in una delle tappe del Cammino Minerario di Santa Barabara. Una donna gentile, forte e luminosa, che a me piace definire “partigiana” della memoria.
Niccioleta 1944: il sangue sulla pirite. Tra il 13 e il 14 giugno 1944, sulle alture metallifere della Toscana, si consuma un crimine poco conosciuto: 83 minatori, colpevoli di essere iscritti al sindacato o sospettati di antifascismo, vengono rastrellati, deportati e fucilati da fascisti e nazisti. Lavoratori armati solo della propria coscienza politica, uccisi perché considerati “pericolosi”.
Buggerru, 1904: il primo fuoco sugli operai in Italia. Il 4 settembre, sempre in una miniera – questa volta in Sardegna – l’esercito italiano apriva il fuoco su una manifestazione di minatori in sciopero. Tre morti, molti feriti. Il primo sciopero generale nazionale fu la risposta del movimento operaio.
In Sardegna come in Toscana i minatori avevano già capito che la loro lotta era politica: non solo per un salario migliore, ma per la dignità dell’uomo contro il dominio dei padroni e dello Stato. Quei luoghi parlano ancora. E chi ascolta le voci che salgono dalle gallerie sente risuonare lo stesso grido: “Non ci dimenticate”.
Iride Peis Concas: la “partigiana” della memoria. Ottantacinque anni portati alla grande. Per 36 anni maestra elementare. Ha vissuto, insieme a suo marito Bruno, medico della miniera, nel villaggio minerario di Montevecchio. Ha insegnato a leggere, scrivere e far di conto alle bambine e bambini figli di minatori. Ha conosciuto da vicino la loro vita. “La miniera – ci racconta – accoglieva tutti, uomini, donne e bambini, C’era lavoro per tutti dentro il buio delle gallerie e fuori nei piazzali”. Iride è stata molto più di una maestra: ha raccolto e tramandato storie dimenticate, riportando alla luce, dopo oltre un secolo, le voci delle donne della miniera, delle tante vittime sepolte due volte: dalla terra e dal silenzio.
Suo il lavoro di ricerca e ricostruzione della tragedia dimenticata del 4 maggio 1871, nel cantiere di Atzuni della miniera di Montevecchio. Lì, proprio lì, quella sera un serbatoio pieno di acqua si rovesciò sui tetti del dormitorio dove erano rientrate trenta fra donne e bambine al termine di una dura giornata di lavoro. Il tetto franò e undici di loro rimasero sepolte, altre quattro furono estratte ancora vive.
Sua la battaglia per far riconoscere le vittime di questa tragedia; sua la piccola lapide posta nel luogo della sciagura, con tutti i nomi e le foto delle vittime; sua la voce che nelle scuole, nei convegni e nei documentari ha riportato al centro questa tragica vicenda ignorata dalla grande narrazione nazionale. “Ho voluto raccontare una storia dimenticata – precisa Iride – perché ad averla subita era quella metà del cielo che stava nell’ombra”. Si perché le donne e le bambine erano le più penalizzate, benché assai ricercate per la loro abilità, pazienza e precisione. Anche se poi pagate la metà degli uomini. Per loro le leggi non esistevano e neppure c’era coscienza dei propri diritti. Donne provate, ma sempre presenti, sensibili alle ingiustizie e interessate alle questioni sindacali, anche se non partecipavano alle assemblee: la mentalità di allora non lo consentiva. Per Iride, la memoria non è solo ricordo, è azione e resistenza.
La miniera non è solo un luogo fisico, ma un simbolo potente. Rappresenta l’oppressione ma anche la solidarietà, la fatica ma anche l’organizzazione. I minatori di Niccioleta e di Buggerru non si sono conosciuti, ma hanno combattuto la stessa battaglia: per la libertà e la giustizia sociale.
Oggi, in un tempo che dimentica in fretta, Iride ci invita a un compito urgente: ricordare per trasformare. Non si tratta solo di onorare i morti, ma di ascoltare cosa ci chiedono i vivi: costruire un futuro che non seppellisca più la verità sotto la polvere del silenzio. “Ci hanno tolto tutto – scrive Iride in uno dei suoi libri – ma non il diritto di ricordare. E con la memoria si combatte.”
Remo Fattorini