Proprio in queste settimane, cinquant’anni fa, il 25 luglio 1975, Elio Gabbuggiani veniva eletto Sindaco di Firenze. Avrebbe ricoperto questo ruolo fino al marzo 1983, quando l’esperienza della giunta di sinistra giunse a conclusione.
La seduta del consiglio comunale che lo elesse e a cui partecipai, fu per molti motivi ricca di emozioni. Il risultato travolgente e per larga parte inatteso, del 15 giugno aveva consegnato molte grandi città al governo delle forze della sinistra.
Firenze era una di queste. Il popolo che affollava il Salone dei 500 era lì anche per ricollegarsi, idealmente, al momento in cui, nel 1951, per effetto di una legge maggioritaria e di mancate alleanze Mario Fabiani, il Sindaco della ricostruzione, aveva lasciato quella carica ad un altro fondamentale protagonista della Firenze del dopoguerra: Giorgio La Pira.
Il discorso d’insediamento pronunciato da Gabbuggiani non conteneva, neanche dissimulato, un tratto di rivincita. Non era nel suo carattere. Anzi Gabbuggiani si riallacciò a quella che chiamò “la storia di una città che ha conosciuto stagioni luminose, lontane ormai nel tempo ma vicinissime nell’ispirazione ideale e nella lezione morale”.
La sua esperienza di governo, ancor oggi ricordata per i tratti di novità che seppe introdurre nella vita della città, fu decisiva per la ricostruzione di una nuova identità contemporanea di Firenze sia sul piano culturale come nel riannodarsi di legami internazionali quale luogo di dialogo, di pace di confronto tra i popoli.
Fu così nel primo viaggio di un sindaco comunista negli USA con la lezione all’università del Michigan sull’eurocomunismo di Berlinguer, nel convegno sul dissenso nei paesi dell’Est, nell’ apertura alla Cina del dopo Mao.
Allo stesso tempo durante la sua amministrazione maturarono opere considerate oggi essenziali come la diga di Bilancino e il nuovo acquedotto, la nuova università nella piana di Sesto, la riacquisizione delle Murate alla città.
Elio giungeva alla carica di Sindaco dopo un lungo percorso nelle istituzioni democratiche di Firenze e della Toscana.
Ad un’iniziale militanza di partito seguiva, nel 1956, l’elezione in consiglio comunale a Firenze. Poi nel 1960 diveniva capogruppo del PCI in Provincia e sostituì, nel 1962, Mario Fabiani come presidente dell’Ente.
Con la sua Presidenza prendeva nuova forza e continuità il tema, già anticipato da Mario Fabiani del regionalismo. A questo scopo Gabbuggiani promosse i primi studi sulla programmazione e sull’identità economica e culturale della Toscana, proseguì, con la terza serie, l’uscita della rivista «La Regione», fondata da Fabiani nel 1954, sostenne l’uscita della Biblioteca di storia della Toscana moderna e contemporanea affidata ad Ernesto Ragionieri.
Quando poi nel 1970, alle elezioni che segnarono la nascita delle Regioni a Statuto ordinario, Elio Gabbuggiani fu eletto Presidente dell’Assemblea regionale non solo accompagnò la costituzione effettiva dell’Ente Regione ma seppe raccogliere e alimentare la grande tradizione democratica della Toscana come in occasione delle celebrazioni, nel 1974, del XXX della Liberazione.
Fu grazie alla sua iniziativa che per le vie di Firenze sfilarono soldati italiani, truppe alleate, partigiani per ricordare quali fondamentali contributi vennero alla riconquista delle libertà democratiche. Impegno che Gabbuggiani assolse, dopo l’impegno parlamentare, anche nella sua successiva funzione di Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana.
Pochi mesi prima che la sua Giunta concludesse, nel 1983, a metà mandato la propria esperienza, a causa del mutato clima nazionale che agì sulla solidità dell’intesa a Firenze tra PCI e PSI e anche per le pressioni che a favore di questo mutamento politico esercitarono gruppi d’interesse ostili al rinnovamento della città, accompagnai Elio in lungo viaggio negli Stati Uniti. Furono giornate importanti dove da vicino potei apprezzare il modo con cui si mosse in una varietà d’incontri tutti di alto livello: a New York con il Segretario Generale dell’ONU Perez de Cuellar, a Berkeley in California con Emilio Segre il fisico premio Nobel, allievo di Fermi, a Chicago con quanti nelle università di quella metropoli studiavano le esperienze delle autonomie locali e della partecipazione in Italia.
Quanti della mia generazione ebbero l’opportunità di conoscerlo e di svolgere un ruolo nella sua amministrazione posso testimoniare che trassero da quell’esperienza motivi di rinnovato impegno civile e di sicuro senso morale.
Stefano Bassi