Fra gli archivi della rete toscana degli Istituti della Resistenza si nascondono storie. Sono quelle delle donne, partigiane o semplicemente a vario titolo coinvolte nella lotta di Liberazione in Italia. Storie che a volte non sono emerse nella narrazione resistenziale del dopoguerra, in quel racconto del partigianato, eroico e tutto al maschile, che si era avviato fin dal 1945, ma che le aveva lasciate in disparte. Ecco perché l’ottantesimo della Liberazione italiana dal nazifascismo è stato l’occasione per porre all’attenzione il tema della Resistenza femminile in Toscana per lavorare a ricostruire un vero e proprio “album di famiglia” di quelle che Benedetta Tobagi ha definito nel suo bel libro sulla Resistenza femminile come le “nostre antenate”.
Biografie che mettono in evidenza come la storia delle donne, anche toscane, abbia nell’esperienza della guerra e della Resistenza uno dei suoi punti nodali, forse il più importante momento di cesura: da lì in poi le loro vicende si sviluppano con traiettorie esistenziali variegate che le portano a uscire dalla dimensione prettamente domestica e a cominciare ad agire nello spazio pubblico.
La loro partecipazione alla Resistenza è indubbiamente variegata: sono partigiane, patriote, resistenti. Per la maggior parte di loro vale ciò che scrive la storica Anna Rossi Doria quando sottolinea come nella scelta delle donne di prendere parte al movimento di Liberazione vi sia un passaggio dalla compassione (vicina a quella categoria del “maternage di massa” introdotta da Anna Bravo nel 1991) alla solidarietà, e dalla solidarietà all’impegno politico in prima persona.
Ma le loro storie ci raccontano anche come le diverse Resistenze delle donne implichino talvolta differenti gradi di coinvolgimento nelle azioni armate, su cui sarebbe opportuno tornare riflettere per analizzare concretamente i molteplici ruoli rivestiti dalle resistenti e l’attività da loro effettivamente compiuta in contesti a prevalenza maschile.
Fra le molte, infatti, ci sono alcune che fin dall’8 settembre prendono parte o sostengono la lotta armata, sulla scia di una consapevolezza antifascista le cui origini possiamo ricercare nel contesto familiare o nella rete delle relazioni fra i pari. Ma vi sono anche le altre che, a partire da pratiche di autodifesa sociale necessarie durante la guerra, sviluppano quella che si può definire un’intenzione antinazista e da lì si muovono più o meno gradatamente sui percorsi variegati della Resistenza civile.
Proprio le biografie femminili, del resto, hanno portato storiograficamente all’attenzione quell’insieme di comportamenti che hanno come matrice comune il disconoscimento della legalità fascista e che oggi riunifichiamo sotto questa categoria interpretativa. Comportamenti che, così come l’ingresso in banda o la salita “ai monti”, traggono sempre però origine da una precisa scelta resistenziale.
Le storie che le carte dei nostri archivi ci permettono oggi di raccontare, se interrogate con uno sguardo attento a “ritrovare” le donne, mettono spesso in evidenza le motivazioni molteplici alla base di quella scelta, siano esse politiche o di altra natura, e come esse talvolta proseguano nella lotta di classe, attraverso i ruoli politici assunti da talune nel dopoguerra, e si intersechino alle battaglie per i diritti delle donne, ma non solo.
In quei percorsi femminili, insomma, ritroviamo in parte la genesi dell’oggi, ma per poter parlare di queste donne spesso bisogna andare in cerca di loro fra le pieghe della narrazione, superando gli ostacoli rappresentati dalla scarsità delle fonti e delle memorie. Solo così possiamo far riemergere talvolta dai nostri archivi le carte, importanti, e le fotografie, bellissime, che restituiscono alle partigiane, patriote e Resistenti toscane i loro volti in cui indubbiamente si può leggere la grazia e la bellezza della gioventù, ma non di meno la determinazione e il coraggio della lotta che ognuna a modo suo ha condotto per tutti e tutte noi.
Ilaria Cansella – Direttrice ISGREC